di vincenzo cacopardo
Siamo
ancora appesi alla decisione del tribunale civile di Milano, verso cui il
presidente emerito della Corte Costituzionale Onida ha sollevato una questione di legittimità costituzionale su un quesito
che ammette solo un Sì o un No. Il quesito.. apparendo multiplo e
omogeneo, pone una più variegata mole di domande. Si parla quindi di
una richiesta di un possibile «spacchettamento», di cui si è già
molto parlato.
L'ex
presidente della Corte, fa riferimento alla legge del 1970 ( quella
che istituisce il referendum) affermando che andrebbe corretta,
poichè non prevede l'obbligo di formulare più quesiti in presenza
di diversi temi.. violando la libertà di voto.
L'attesa
per la decisione del Tribunale è persino snervante e, ove il
Tribunale la accogliesse le ragioni di Onida, potrebbe persino
giovare al premier Renzi in considerazione del fatto che i pronostici
danno avanti il fronte del NO. Renzi otterrebbe uno slittamento ed il
tempo necessario per riprendere fiato e spingere il SI. Naturalmente
il Paese, seppure in fibrillazione, comincia ad essere stanco di
questi continui slittamenti.
Ricordiamo
che detta riforma e nata con un disegno di legge presentato dal
governo Renzi il 18 aprile 2014
(
Quando la Corte Costituzionale aveva già emesso la sentenza
depositata
in Cancelleria il 13 gennaio 2014).
Detta
riforma, aspramente avversata dalle opposizioni parlamentari e da
alcuni giuristi, è stata approvata con una maggioranza inferiore ai
due terzi dei membri di ciascuna camera: di conseguenza, come
prescritto dall'articolo 138 della Costituzione, il provvedimento non
è stato promulgato direttamente, essendo prevista la facoltà di
richiedere un referendum per sottoporlo al giudizio degli elettori.
Per
meglio comprendere... poniamo all'attenzione degli elettori le
ultime righe della sentenza della Corte che dovrebbero far riflettere
sull'opportunità di procedere verso una riforma che stravolge 47
articoli della Costituzione
“È
evidente che la decisione che si assume, di annullamento delle norme
censurate, avendo modificato in parte qua la normativa che disciplina
le elezioni per la Camera e per il Senato, produrrà i suoi effetti
esclusivamente in occasione di una nuova consultazione elettorale,
consultazione che si dovrà effettuare o secondo le regole contenute
nella normativa che resta in vigore a seguito della presente
decisione, ovvero secondo la nuova normativa elettorale
eventualmente adottata dalle Camere.”
“Vale appena
ricordare che il principio secondo il quale gli effetti delle
sentenze di accoglimento di questa Corte, alla stregua dell’art.
136 Cost. e dell’art. 30 della legge n. 87 del 1953, risalgono
fino al momento di entrata in vigore della norma annullata, principio
«che suole essere enunciato con il ricorso alla formula della cosi
detta “retroattività” di dette sentenze, vale però soltanto per
i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione di quelli
esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida»
(sentenza n. 139 del 1984).”
“Le
elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle norme
elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono,
in definitiva, e con ogni evidenza, un fatto concluso, posto che il
processo di composizione delle Camere si compie con la proclamazione
degli eletti. Del pari, non sono riguardati gli atti che le Camere
adotteranno prima che si svolgano nuove consultazioni elettorali.
“Rileva
nella specie il principio fondamentale della continuità dello Stato,
che non è un’astrazione e dunque si realizza in concreto
attraverso la continuità in particolare dei suoi organi
costituzionali: di tutti gli organi costituzionali, a cominciare dal
Parlamento.”
“È
pertanto fuori di ogni ragionevole dubbio che nessuna incidenza è in
grado di spiegare la presente decisione neppure con riferimento agli
atti che le Camere adotteranno prima di nuove consultazioni
elettorali: le Camere sono organi costituzionalmente necessari ed
indefettibili e non possono in alcun momento cessare di esistere
o perdere la capacità di deliberare. Tanto ciò è vero che, proprio
al fine di assicurare la continuità dello Stato, è la stessa
Costituzione a prevedere, ad esempio, a seguito delle elezioni, la
prorogatio dei poteri delle Camere precedenti «finchè non siano
riunite le nuove Camere» (art. 61 Cost.), come anche a
prescrivere che le Camere, «anche se sciolte, sono appositamente
convocate e si riuniscono entro cinque giorni» per la conversione in
legge di decreti-legge adottati dal Governo (art. 77, secondo comma,
Cost.).
1)
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 83, comma 1,
n. 5, e comma 2, del d.P.R. 30 marzo 1957 n. 361 (Approvazione del
testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera
dei deputati);
2)
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, commi 2 e
4, del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico
delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della
Repubblica);
3)
dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 4, comma 2, e
59 del d.P.R. n. 361 del 1957, nonché dell’art. 14, comma 1, del
d.lgs. n. 533 del 1993, nella parte in cui non consentono
all’elettore di esprimere una preferenza per i candidati.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 4 dicembre 2013. Depositata in Cancelleria il 13 gennaio
2014.
Osservazioni
la
Corte chiarisce – richiamando la propria giurisprudenza - che il
termine “retroattività”, riferito alle sentenze di accoglimento,
vale unicamente per i rapporti pendenti,
“con conseguente esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono
regolati dalla legge dichiarata invalida”.
Sicché, la sentenza di annullamento della legge elettorale non
incide in alcun modo sugli atti posti in essere “in
conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle norme
annullate, compresi gli esiti delle elezioni svoltesi e gli atti
adottati dal Parlamento eletto”.
Ne
consegue, che le consultazioni elettorali già svolte, ancorché in
applicazione di una legge poi dichiarata incostituzionale,
costituiscono un fatto concluso e pertanto nessuna incidenza è in
grado di spiegare la presente decisione
“neppure con riferimento agli atti che le Camere adotteranno prima
di nuove consultazioni elettorali”.
A tal
proposito, non sembra inutile ricordare che in base a quanto
stabilito nell’art. 136 della Costituzione “quando
la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di
legge o di un atto avente valore di legge la norma cessa di avere
efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”.
Si tratta, dunque, di una efficacia pro futuro che riguarda, vale a
dire, solo i rapporti che si sono realizzati dopo la pubblicazione
della sentenza di incostituzionalità.
Non
si dubita della circostanza che durante il regime di prorogatio le
Camere, seppur non più pienamente rappresentative del corpo
elettorale, mantengano, comunque, funzioni relative alla ordinaria
amministrazione, compresi gli atti di controllo politico sul Governo
e di garanzia costituzionale, ma
se le Camere, dopo una simile sentenza, possano o no dare vita legittimamente ad un processo di riforma della
Carta fondante non rendendo di contro alla stessa la dovuta necessaria garanzia.