Era nell'aria da settimane. Buona parte
dell'informazione stampata non ostile all'azione di un Governo generato da
anacronistici “compromessi storici” aveva tentato invano di enfatizzare la sua
sostanziale dimensione “istituzionale”e quindi di fatto monocolore, a dispetto
della sua formale disomogeneità. Ma quest'ultima era già sostanziale sin dal
giuramento al Quirinale dei nuovi ministri.
Galeotto fu il comune spettro degli
imminenti pronunciamenti post istruttori e dibattimentali sui reati contestati
al Cavaliere considerati tanto dal PDL come reiterati “abusa inquisitionis
potestatis” quanto dal PD “legitima iuris exercitatio”.
E' l'ennesimo sintomo di un conflitto
squisitamente giuridico-istituzionale – impropriamente assurto a strumento di
lotta politica contingente – che solo una giurisdizione in sede straordinaria e
costituente può dirimere.
Abbiamo più volte ripetuto la inopportunità
dei diffusi tentativi di un improbabile contenimento della crisi istituzionale
presente tra i poteri dello Stato negli ambiti di un mero ed ordinario
esercizio del dibattito politico quotidiano finalizzato alla altrettanto
semplice – eppur legittima– acquisizione di consensi elettorali fondati sulla
condanna di un sistema “dignum recognitionis” tout court, nel segno di una
generica e sconfortante critica fine a se stessa.
Con la medesima apprensione constatiamo da
un lato come ancora una volta il legittimo esercizio del potere giudiziario,
formalmente impeccabile ma sostanzialmente viziato dalla presunta presenza del
“virus” di natura politica possa interferire con l'altrettanto legittimo
esercizio della attività pubblica di tipo elettivo, dall'altro la sinora
difficile stesura di una normazione che preveda reciproche co-egualità e
co-garanzie, nel rispetto delle specifiche autonomie connesse all'esercizio
della funzione attribuita.
A questo proposito francamente assai
deludente e precipuamente populista ci pare la prescrizione, in molti Consigli
Regionali del nostro Paese, delle imposte dimissioni immediate a quel Consigliere
che risulti semplicemente indagato dalla Magistratura. Si assoggetta così di
fatto, in nome di una presunta colpevolezza, il diritto del singolo alla
presunta tutela di una collettività che si presuppone – altrettanto
illegittimamente -non più rappresentata dal soggetto inquisito.
La fine del primo Governo Letta – è
possibile che ne sorga infatti un altro con una diversa maggioranza –è
conseguenza di uno strappo forse meditato da tempo ma non per questo “estremo e
quasi disperato” che fa perdenti ed umiliati tutti, nessuno escluso.
Questo spiacevole processo depauperante
troverà probabilmente la sua “akmè” nelle prossime dimissioni dei parlamentari
del PDL, nella nascita di una nuova maggioranza di governo anch'essa figlia
legittima di una legge elettorale odiata dai cittadini rappresentati ma strano
oggetto del desiderio per i loro rappresentanti, nella sconfortante, continuata
ed inspiegabilmente irresponsabile politica economica di reperimento di fondi
in forza di una aumentata pressione fiscale sugli storicamente
“incontrollabili”soggetti con attività lavorativa non “dipendente”, che ignora
la loro insostituibile funzione di traino nella auspicata ripresa.